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Software open source, software libero e licenze Creative Commons

By Maria Antonietta Ricagno | Published  11/12/2011 | Software and the Internet | Not yet recommended
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Quicklink: http://dut.proz.com/doc/3416
Le novità, si sa, a volte fanno un po' paura. Nonostante le informazioni sull'open source siano sempre più diffuse, esiste indubbiamente ancora molta confusione su questo argomento. Molti scambiano il software open source con il software 'pirata' pensando che solo perché è gratis, cioè non viene richiesto il pagamento di una licenza, sia automaticamente illegale. Altri, invece, sono condizionati dal pregiudizio per cui pensano che, proprio in quanto gratis, allora non sia un software di qualità. In realtà, è molto spesso vero il contrario, in quanto il software open source è in continuo aggiornamento e miglioramento e vi sono centinaia di persone che, volontariamente, contribuiscono a tale miglioramento. Si tratta nient'altro che del concetto di condivisione delle conoscenze, del dare in modo disinteressato per poi ricevere. Tutti coloro che contribuiscono con il proprio know-how al miglioramento del software open source non fanno altro se non aumentare in modo esponenziale la qualità del prodotto a vantaggio di tutti gli utenti.
Il concetto di open source è, naturalmente, strettamente legato a quello di licenza e copyright. Quest'ultimo è nato nel 1700 in Inghilterra (1), ai tempi della Rivoluzione industriale, per tutelare il prodotto dell'ingegno, quindi l'opera creativa, che veniva protetta dai brevetti. In realtà, nel caso del software, l'opera creativa si svincola dal supporto fisico sulla quale è prodotta, pertanto non esiste più la necessità di tutelare il prodotto dell'ingegno mediante un brevetto. Con l'avvento di Internet, l'accesso alle conoscenze è improvvisamente aperto al mondo intero e in tempo reale, siamo in grado di leggere libri in formato elettronico e perfino di portarci a spasso librerie di migliaia di testi in un e-book reader.
Richard M. Stallman e i Quattro principi di libertà
Negli ultimi vent'anni è iniziato un movimento di vera e propria protesta contro il concetto di copyright sul software. È stato introdotto, di contro, quello di copyleft, inventato da Richard M. Stallman nel 1985, che legge in modo alternativo il diritto d'autore sui prodotti informatici e sostiene che i codici sorgente del software devono essere pubblici. La sempre più rapida evoluzione verso la liberalizzazione in vari settori, con la tendenza ad abolire enti corporativi, albi professionali, vincoli sui diritti monopolistici applicati a vari beni, ha quindi interessato anche le opere dell'ingegno creativo. Nel quadro di tale tendenza, si muove pertanto la diffusione di programmi software e ambienti operativi open source, creati e messi a disposizione gratuitamente da gruppi di lavoro come ad esempio quelli di Linux, Ubuntu e altri.
Nei primi anni Ottanta, Richard M. Stallman formalizzò per la prima volta il concetto di software libero. La sua definizione è riassunta nei seguenti quattro principi di libertà:
Libertà 0, o libertà fondamentale: La libertà di eseguire il programma per qualunque scopo, senza vincoli sul suo utilizzo. Libertà 1: La libertà di studiare il funzionamento del programma, e di adattarlo alle proprie esigenze. Libertà 2: La libertà di redistribuire copie del programma. Libertà 3: La libertà di migliorare il programma, e di distribuirne i miglioramenti. In pratica, le idee non sono vincolabili da una licenza esclusiva come quella del copyright.
Devono poter circolare liberamente, essere scambiate, migliorate e diffuse. Il concetto di copyright è antiquato e legato a un mondo tecnologicamente diverso da quello attuale: se adeguiamo tutto, compreso il nostro stile di vita, alle condizioni mutate, non si vede perché si dovrebbe restare ancorati a concetti obsoleti come quello del brevetto software. O meglio, se ci si pensa un attimo, si capisce benissimo perché: per tutelare i soliti interessi economici delle grandi multinazionali. Pensiamo a quanti programmi, una volta installati sul proprio PC, non possono più essere installati neanche su un altro portatile, anche se di proprietà dello stesso utente e nonostante questi abbia acquistato la licenza, oppure non possono essere reinstallati più di tre volte in caso di formattazione del PC. Oltretutto, alcuni produttori, usano mezzi che violano la privacy dell'utente per poter sapere sempre su quanti PC quest'ultimo installi lo stesso software: inseriscono nel programma delle 'spie' che al momento dell'installazione comunicano tale operazione al sito del produttore. Addirittura, vi sono alcuni software che, nonostante l'utente acquisti la licenza a caro prezzo, questa scade dopo tre anni, e per essere riattivata occorre pagare una percentuale del prezzo iniziale della licenza iniziale. Perché? Se acquisto un vestito devo forse tornare dal negoziante periodicamente e pagare una 'una tantum' per poterlo di nuovo considerare mio?
Tornando alla definizione iniziale di software open source, in effetti il termine più corretto sarebbe quello di software libero, per non creare fraintendimenti di sorta, compresi quelli indicati in precedenza. Il concetto di software libero fa appello alla necessità etica di libera circolazione delle idee che non possono essere imbrigliate da leggi sul diritto di autore e simili. Se ci pensiamo bene, un tale vincolo è impraticabile, perché le idee, i concetti, le opere dell'ingegno cambiano di continuo, si producono programmi software a centinaia, a migliaia vengono aggiornati e migliorati: come è possibile avanzare diritti di proprietà intellettuale su un prodotto che non è mai uguale a quello iniziale? E poi, come già detto, le idee sono indipendenti dai supporti sui quali sono veicolate. E questo sarebbe già un motivo sufficiente a eliminare il copyright.
P. Lévy e Derrick De Kerchove
Con Internet, lo spazio della conoscenza si è moltiplicato e ampliato a dismisura, le informazioni fanno il giro del mondo in tempo reale e si accumulano: tutte queste conoscenze e informazioni creano uno spazio comune a livello globale, in cui non ha più molto senso mettere steccati e limitazioni. Questo spazio è quello in cui vanno a convergere i prodotti dell'intelligenza collettiva teorizzata nel 1994 da P. Lévy(2). Al concetto di intelligenza collettiva si affianca quello di intelligenza connettiva formulato da Derrick De Kerckhove (3), secondo cui sono tre le fasi attraverso cui è passata l’intelligenza moderna: l'intelligenza privata, trasmessa grazie ai libri stampati; prima forma d’intelligenza collettiva, favorita da radio e TV; e l'ultima fase di intelligenza implementata tramite Internet, una specie di via di mezzo tra le altre due. In cosa è collettiva l'intelligenza formulata da De Kerckhove? Appunto, perché è caratterizzata da un lavoro collaborativo. Tutti coloro che contribuiscono in modo cosciente stabiliscono un legame mentale, attraverso cui si velocizza la creazione, la produzione di nuove idee. Il luogo in cui meglio si esplica l'intelligenza connettiva è naturalmente Internet, dove le conoscenze si accumulano, ma non si perde la propria identità, anzi si ha il modo di condividere i pensieri.
Le licenze Creative Commons
Uno dei pregiudizi diffusi fra le persone è quello secondo cui se si pubblica un'opera su Internet senza che sia protetta da copyright, automaticamente l'opera viene 'sottratta' al suo autore. Ciò non è affatto vero, in quanto esistono tipi di licenze alternative a tutela delle proprie opere. Sono le licenze Creative Commons, create dalla Creative Commons Corporation nel 2001, un ente non-profit statunitense composto da un gruppo di giuristi della Stanford University della California, nato con lo scopo di promuovere un dibattito a livello mondiale sui diritti d'autore e su come gestirli nella nuova era del Web 2.0. Si passa, quindi, da All Rights Reserved a Some Rights Reserved, un tipo di tutela delle opere che rappresenta una via di mezzo tra il protezionismo assoluto del copyright e la possibilità di essere soggetti ad abusi nel caso in cui si scelga di non proteggere affatto o poco le opere. Attraverso il sito di Creative Commons, chiunque può scegliere la licenza più adatta alle proprie esigenze seguendo un semplice procedimento online.
La creazione di una licenza personalizzata rappresenta un atto di diritto privato che si configura come un atto volontario che, tuttavia, deve rispettare le norme del codice civile. Non è quindi vero che nella propria licenza si possa scrivere di tutto ed è per questo che Creative Commons ha elaborato una serie standard di licenze che rispecchiano le varie tipologie d'uso. Inoltre, le licenze sono strutturate secondo tre tipologie: il Legal Code, il Common Deed e il Digital Code.
Legal Code: si tratta della licenza vera e propria, composta da otto articoli e che delinea i principi di funzionamento della sua distribuzione e applicazione. Quindi, un documento redatto nel linguaggio legale tipico delle licenze e che, sebbene sia indispensabile trattandosi di licenze, tuttavia non è l'ideale per la divulgazione all'utente medio. Quanti di noi hanno voglia di leggere ad esempio due pagine di garanzia di un elettrodomestico o altro? Si tende spesso a saltare le pagine in 'legalese'. Nel caso di una licenza Creative Commons, però, la mancata o impropria comprensione dei suoi articoli potrebbe portare a errori o falsi convincimenti sui contenuti e il significato reali della licenza.
Common Deed: è una versione riformulata del Legal Code a vantaggio dell'utente comune; tuttavia, non coincide con quest'ultimo, nel senso che non è una licenza e infatti ogniqualvolta viene citato, occorre anche citare o inserire il link al Legal Code.
Digital Code: è costituito da una serie di metadati acclusi ai file digitali, indicizzabili dai motori di ricerca e uguali in tutto il mondo.
Figura 1. Esempio di licenza Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia
Scegliere il tipo corretto di licenza per tutelare le proprie opere è importante, perché se si etichetta un'opera con la licenza sbagliata poi non è possibile modificarla una volta che, ad esempio, un articolo è stato pubblicato su Internet. Certo, è sempre possibile attribuire una licenza diversa alle opere successive, ma tale operazione non ha effetto retroattivo su quelle che sono già state pubblicate: se si consente l'uso commerciale di un articolo, ormai è fatta! Per tale motivo, è importante esaminare bene tutte le tipologie di licenze e scegliere quella più adatta. Va anche detto che, tuttavia, l'autore può comunque fare della sua opera tutti gli usi che desidera, anche quelli non contemplati nella licenza.
Libri, musiche, fotografie, articoli per il web, testi per blog e altre opere dell'ingegno sono tutte opere protette da copyright e pertanto possono essere tutelate da una licenza Creative Commons, a patto che ci siamo assicurati prima se abbiamo il diritto di usarla per una determinata opera. Al contrario, le licenze Creative Commons non sono applicabili al software. Una cosa importante da ricordare è che ogni autore, nel momento stesso in cui realizza un'opera, ne acquisisce i diritti automaticamente: non servono altre certificazioni da alcun ente.

Le idee migliori sono proprietà di tutti (Seneca) (4)
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Note e bibliografia
(1) Dello stesso periodo, un altro esempio di tentativo di limitare l'uso di conoscenze agli utenti: nel 1776 W. A. Mozart ascolta un concerto alla Cappella Sistina insieme con suo padre, ma la Chiesa vieta di riprodurre l'opera al di fuori dei luoghi di culto 'pena la scomunica'! Ciò significa che è vietato riprodurre e diffondere gli spartiti. Quello di cui non avevano tenuto conto era invece la memoria di Mozart, che riscrive gli spartiti semplicemente ricordandoli.
(2) L’intelligence collettive, pour une antropologie du Cyberspace, Editions La Decouverte, Parigi, 1994
(3) Brainframes, Technology, Mind and Business, Bosch & Keuning, 1991.
(4) Epistola XII, 11.


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